david addison
2011-05-30 08:43:44 UTC
Copioeincollo, sperando che il dibattito ci rianimi.
Cose che non condivido (a parte il gramellinismo stesso, applicato al Toro)
- le attenuanti generiche che mi pare conceda a Petracchio. E' vero che
l'endorsement nella sua penultima enciclica "Spes salentina" (o era la
terzulitma?) fu grossino, ma diamine: Petrachi è Rubin per Bernacci, è
Morello-Bassi-Rubinho, è Budel per rinforzare il centrocampo, è Antenucci
preso per costringere Lerda ad abbandonare il 4-2-3-1 (dei dieci risultati
utili consecutivi), è Zavagno-Pellicori, è "abbiamo nel mirino due
argentini", è Scaglia l'ultimo giorno di mercato, è Obodo rotto, è Cavanda
per Filipe, ...
- l'elogio di Dal Canto. La finiamo di farci eternamente ammaliare
dall'ultimo che in ordine di apparizione viene qui e ci fa la festa sia esso
un allenatore o un calciatore? Dal Canto qui farebbe la fine di Lerda (o se
preferite
DeBiasi-Zaccheroni-Novellino-Camolese-Beretta-Colantuono-Papadopulo).
A voi.
_______________
Scempio Toro
Massimo Gramellini
La Cairese resta per il terzo anno di fila a marcire in serie B e io non
riesco più neanche a provare rabbia. Ormai ho consumato tutto: illusioni,
delusioni, indignazioni. Dentro galleggia solo la nausea. Questo non è più
il mio Toro. Questo ammasso di niente spalancato sul vuoto. Senza gioco,
senza grinta, senz'anima. Con un allenatore mediocre e presuntuoso come
tutti i mediocri. Con un presidente che sarà anche una volpe nel suo lavoro,
ma non capisce nulla di calcio. Soprattutto non capisce nulla di Toro. Per
anni, dal giorno del suo arrivo dopo il Fallimento, ci siamo sgolati in
tanti nel tentativo di spiegargli dov'era capitato. Nel rammentargli che le
case si costruiscono dalle fondamenta. Prima il Filadelfia, il settore
giovanile e una società forte, radicata nella città di cui porta il nome.
Poi, un po' alla volta, la costruzione della prima squadra, così da
accogliere i calciatori professionisti, quasi sempre dei mercenari, in un
ambiente solido e già fortemente intriso di cromosomi granata. Se ci avesse
ascoltati allora, oggi saremmo il Novara. Ma un Novara con un milione di
tifosi. Invece il presidente-cicala aveva fretta, voleva godere subito. E ha
dato inizio a un tourbillon di calciatori, allenatori, dirigenti. L'unico a
non cambiare mai era lui. E noi. Costretti a sorbirci i suoi frullati di
schiuma per desolante mancanza di alternative.
Quest'anno ha finalmente puntato su un allenatore giovane. Purtroppo era
quello sbagliato. Non l'ottimo Dal Canto, il cui Padova ieri ci ha impartito
una lezione di calcio. Ma Lerda, l'unico al mondo che gioca con quattro
attaccanti e mai uno che centri lo specchio della porta. Costui ha disfatto
il Toro scarso ma grintoso della scorsa stagione, riempiendolo di sgrigne e
di gabionette, artisti del ghirigoro insulso. Una bella mano gliel'ha data
il direttore sportivo Petrachi, che in una società normale sarebbe forse un
buon mercante di calciatori, ma qui ha dovuto e voluto fare tutto, persino l'uomo-immagine
in tv, dove ha teso agguati continui alla lingua italiana.
Cairo deve rendersi conto che il suo tempo è finito. Ha perso l'aura, ha
esaurito il credito. Non gli crede più nessuno, qualunque cosa faccia. Se ci
comprasse Messi, penseremmo che è rotto. Ora ha tre strade davanti a sé. La
prima è rientrare delle spese mettendo in vendita quel poco di argenteria
rimasta (Bianchi, Ogbonna, la metà di Dzemaili) e poi restituire il marchio
Toro alla città, nella speranza che il sindaco bianconero Fassino sia più
fortunato del suo predecessore granata nel convincere qualche banca
piemontese a sostenere un imprenditore legato al territorio (fra quelli che
conosco, l'unico che ne avrebbe la capacità e la voglia è Marco Boglione
della Kappa, che però da solo non ne ha i mezzi). La seconda strada è
restare, ma nell'ombra, lasciando la ribalta e i pieni poteri a un esperto
in ricostruzioni, un vecchio arnese del calcio alla Pierpaolo Marino. La
terza è quella che, temo, percorrerà: rivoluzionare tutto daccapo, vendendo
il vendibile, rimpinzando la squadra di prestiti di passaggio e affidando la
panchina a Ventura, un fedelissimo di Petrachi, che così controllerà anche l'ultima
poltrona che ancora gli sfuggiva. Dalla Cairese alla Petrachese. Quando
torna il Toro, fatemi un fischio.
Cose che non condivido (a parte il gramellinismo stesso, applicato al Toro)
- le attenuanti generiche che mi pare conceda a Petracchio. E' vero che
l'endorsement nella sua penultima enciclica "Spes salentina" (o era la
terzulitma?) fu grossino, ma diamine: Petrachi è Rubin per Bernacci, è
Morello-Bassi-Rubinho, è Budel per rinforzare il centrocampo, è Antenucci
preso per costringere Lerda ad abbandonare il 4-2-3-1 (dei dieci risultati
utili consecutivi), è Zavagno-Pellicori, è "abbiamo nel mirino due
argentini", è Scaglia l'ultimo giorno di mercato, è Obodo rotto, è Cavanda
per Filipe, ...
- l'elogio di Dal Canto. La finiamo di farci eternamente ammaliare
dall'ultimo che in ordine di apparizione viene qui e ci fa la festa sia esso
un allenatore o un calciatore? Dal Canto qui farebbe la fine di Lerda (o se
preferite
DeBiasi-Zaccheroni-Novellino-Camolese-Beretta-Colantuono-Papadopulo).
A voi.
_______________
Scempio Toro
Massimo Gramellini
La Cairese resta per il terzo anno di fila a marcire in serie B e io non
riesco più neanche a provare rabbia. Ormai ho consumato tutto: illusioni,
delusioni, indignazioni. Dentro galleggia solo la nausea. Questo non è più
il mio Toro. Questo ammasso di niente spalancato sul vuoto. Senza gioco,
senza grinta, senz'anima. Con un allenatore mediocre e presuntuoso come
tutti i mediocri. Con un presidente che sarà anche una volpe nel suo lavoro,
ma non capisce nulla di calcio. Soprattutto non capisce nulla di Toro. Per
anni, dal giorno del suo arrivo dopo il Fallimento, ci siamo sgolati in
tanti nel tentativo di spiegargli dov'era capitato. Nel rammentargli che le
case si costruiscono dalle fondamenta. Prima il Filadelfia, il settore
giovanile e una società forte, radicata nella città di cui porta il nome.
Poi, un po' alla volta, la costruzione della prima squadra, così da
accogliere i calciatori professionisti, quasi sempre dei mercenari, in un
ambiente solido e già fortemente intriso di cromosomi granata. Se ci avesse
ascoltati allora, oggi saremmo il Novara. Ma un Novara con un milione di
tifosi. Invece il presidente-cicala aveva fretta, voleva godere subito. E ha
dato inizio a un tourbillon di calciatori, allenatori, dirigenti. L'unico a
non cambiare mai era lui. E noi. Costretti a sorbirci i suoi frullati di
schiuma per desolante mancanza di alternative.
Quest'anno ha finalmente puntato su un allenatore giovane. Purtroppo era
quello sbagliato. Non l'ottimo Dal Canto, il cui Padova ieri ci ha impartito
una lezione di calcio. Ma Lerda, l'unico al mondo che gioca con quattro
attaccanti e mai uno che centri lo specchio della porta. Costui ha disfatto
il Toro scarso ma grintoso della scorsa stagione, riempiendolo di sgrigne e
di gabionette, artisti del ghirigoro insulso. Una bella mano gliel'ha data
il direttore sportivo Petrachi, che in una società normale sarebbe forse un
buon mercante di calciatori, ma qui ha dovuto e voluto fare tutto, persino l'uomo-immagine
in tv, dove ha teso agguati continui alla lingua italiana.
Cairo deve rendersi conto che il suo tempo è finito. Ha perso l'aura, ha
esaurito il credito. Non gli crede più nessuno, qualunque cosa faccia. Se ci
comprasse Messi, penseremmo che è rotto. Ora ha tre strade davanti a sé. La
prima è rientrare delle spese mettendo in vendita quel poco di argenteria
rimasta (Bianchi, Ogbonna, la metà di Dzemaili) e poi restituire il marchio
Toro alla città, nella speranza che il sindaco bianconero Fassino sia più
fortunato del suo predecessore granata nel convincere qualche banca
piemontese a sostenere un imprenditore legato al territorio (fra quelli che
conosco, l'unico che ne avrebbe la capacità e la voglia è Marco Boglione
della Kappa, che però da solo non ne ha i mezzi). La seconda strada è
restare, ma nell'ombra, lasciando la ribalta e i pieni poteri a un esperto
in ricostruzioni, un vecchio arnese del calcio alla Pierpaolo Marino. La
terza è quella che, temo, percorrerà: rivoluzionare tutto daccapo, vendendo
il vendibile, rimpinzando la squadra di prestiti di passaggio e affidando la
panchina a Ventura, un fedelissimo di Petrachi, che così controllerà anche l'ultima
poltrona che ancora gli sfuggiva. Dalla Cairese alla Petrachese. Quando
torna il Toro, fatemi un fischio.