Post by MiltonPost by AlexBiC'è un passaggio raccontato dalla moglie in cui un presidente urbano del
Toro vuole conoscere Pupi e poi gli dice: pulici io non saprei cosa
farle fare... Lei è molto ingombrante... Forse i rapporti con i tifosi
(non cito alla parola eh...)
E Pupi risponde: potrei... Ma se io mi fido di lei, credo alle sue
parole, ci metto la faccia, le riporto ai tifosi e poi scopro che ha
mentito vengo da lei e l'attacco al muro....
E infatti pupi è ancora ad allenare i bambini..
Impagabile.
Non è che quest'articolo è postabile?
Grazie
Milton
Se ti iscrivi sul sito del Rutto riesci a leggere tutti i giornali
vecchi (e il giornale di oggi dalle 18 in poi)
Comunque eccola... Ah... non è colpa mia se tra prima e seconda pagina
si perde il senso... è proprio l'articolo che è così...
=======================================
TORINO. Oggi Paolino Pulici compie sessant’anni. Non c’è granata, e
probabilmente non c’è sportivo, che non gli dica AUGURI, PUPI!
Tuttosport ha approfittato della visita che la famiglia Pulici ha
compiuto a Torino accompagnandosi a don Aldo Rabino nella visita alla
Sacra Sindone, per raccogliere questo mondo di sentimenti e
porgerglielo attraverso una piccola festicciola di compleanno.
Stare con Pupi non è una rimbembranza, un’occasione di rievocazione
storica, una celebrazione. E’ cronaca, è presente. Se il giorno prima
avesse segnato un gol, non troverebbe maggior calore di quanto
incontra a ogni passo.
Sono passati quasi trent’anni da quand’era un campione, ma per strada
non passi tre minuti con lui senza che una persona, ricca o povera,
vecchia o giovane, non gli dica «Grazie!». Proprio così, un semplice e
onnicomprensivo grazie. Se mai ce ne fosse bisogno, lì capisci davvero
chi è Paolo Pulici. Il campione, certo. Il goleador. Il giocatore più
amato dai tifosi granata. Una vita con quella maglia, da giovane col
piede ancora un po’ svirgolato all’infallibile Puliciclone che con i
suoi gol firma il ritorno allo scudetto dopo Superga. Però la
grandezza di Pulici si è consolidata dopo, quando si sono spenti i
riflettori, quanto è più difficile, quando la gioventù che va si porta
via gli eroismi e ti lascia l’uomo. Solo con le sue debolezze. E’ dono
raro, da autentico Olimpo, essere leggenda. Gli eroi muoiono giovani.
Gli altri finiscono a vendere pannolini se va bene, se stessi se va
peggio. Ci sono le eccezioni, rarità assolute. Come Pupi.
Leggenda in vita, eroe di uomo, non mito. Non è un’esagerazione, è la
normalità della Persona Paolo Pulici. E’ la differenza. E’ il Toro,
che difatti la gente identifica in lui.
Pupi ha saputo resistere. Ai soldi, montagne di soldi. Per averli,
qualcosa di sé avrebbe dovuto cedere, quantomeno affittare. Che fosse
da volto televisivo o da dirigente, che a pagarlo fosse un presidente
di pallone o la multinazionale vattelapesca. Lui ha guadagnato - meno
di quanto meritasse - quando segnava, poi se l’è fatto bastare per
essere marito, padre, nonno, maestro di calcio e uomo libero. Equivale
a segnare in rovesciata per tutta la vita, anzi le vite: questa e
l’altra.
Quando incontrò l’ultimo padrone del Torino, una e una soltanto fu la
raccomandazione che gli regalò: «Non prometta quel che non può
mantenere, non illuda i tifosi». Non vendere, appunto.
Tutti i tifosi granata gli fanno gli auguri. Pulici a ognuno di loro
dice: «E’ un po’ triste, dirlo, ma lo dico. Abbiamo la testa sotto,
schiacciati. Però non è la prima volta che ci succede, anzi è accaduto
di peggio, ci è stata uccisa un’intera squadra di campioni, eppure
siamo sempre tornati. Bisogna tenere duro, lottare, perché anche
stavolta rialzeremo la testa. Anche se sarà più difficile, se oggi
tutto è più difficile. Siamo forti, più forti di tutto quanto ci va
contro, più forti di tutti quelli che ci vogliono male».
Dieci anni fa, per i suoi primi 50 anni, ci disse: «Da un uomo si fa
un calciatore, ma da un calciatore non si può fare un uomo». Non vale
solo per i calciatori, però. «Ho scelto l’ombra perché non sono uomo
da compromessi. Preferisco il calcio dei bambini, se quello degli
adulti è di un certo tipo.
Io non rifiuto a priori un ritorno al Toro, anzi. Però lo farei
esclusivamente alle mie condizioni, facendo e dicendo le cose chiare,
come stanno.
Soltanto chi ha le idee più che mai serie, può avere a che fare con
Paolo Pulici». Dopo dieci anni, ovviamente Pulici non è cambiato. E’
il Toro, fuori dal Torino. E non è un caso che neanche per il Toro
nulla sia cambiato, se non in peggio.
C’è la fondamentale moglie Claudia. L’amata figlia Patrizia col marito
Andrea e la piccola, splendida Valentina, nipotina che lo marca
amorevolmente a uomo. Ci sono don Aldo e Tuttosport, al ristorante
Marechiaro nel cuore di Torino ad ascoltare il cuore del Torino.
Volevamo coccolarlo a nome di tutti, in realtà è lui che coccola noi.
«GRAZIE!».
======================================================
PAOLINO PULICI: «Era il 6 aprile del ’69, contro l’Inter».
LA MOGLIE CLAUDIA: «Dovevamo ancora conoscerci. Mancava poco
comunque». Sarebbe accaduto in estate, il 21 luglio, l’uomo sulla
Luna. Ma quel giorno la Luna seppe anche scendere sulla Terra, per
quei due giovani che per la prima volta si fissavano negli occhi in
riva all’Adda: ci potevi fare il bagno. Lui di Roncello, lei di
Trezzo. Si parlarono. Paolino aveva 19 anni, Claudia 16. Il fiume
diventò il loro mare.
PUPI: «Col Toro in A avevo esordito il 23 marzo in casa, contro il
Cagliari: 0 a 0. Il mio idolo era Gigi Riva. Lo stesso numero di
maglia. E pure lui era stato al Legnano, tra l’altro. Mi prese
sottobraccio, entrai in campo al suo fianco. Il grande Riva, sì. Fu
come un battesimo. Mi disse: “Paolino, auguri: adesso sbatti le ali e
prendi il volo”. Un uomo splendido, Gigi. Un esempio per chiunque,
ieri come oggi. Proverò sempre tanto affetto per lui. E gratitudine».
Ma il 6 aprile del ’69? «Il mio primo gol in A. A San Siro,
all’Inter». Finì 2 a 2. «Mi marcava Burgnich. Una colonna della grande
Inter contro un ragazzino come me. Belle botte. Normale, era tosto,
era Burgnich. Che lealtà, che umanità. Finì la partita e lui, invece
di essere arrabbiato, mi fece i complimenti. Un’altra persona vera.
Come lo juventino
Cuccureddu. Ci picchiavamo da paura, guardandoci negli occhi. Ma prima
e dopo: grandi strette di mano, sempre guardandoci negli occhi».
DON ALDO RABINO: «Abbiamo una certa età. Fatichiamo a riconoscerci nel
calcio di oggi, ormai».
PUPI: «In un derby Morini
riuscì a strapparmi per 3 volte i pantaloncini, per tentare di
fermarmi. Dovetti cambiarmeli di continuo in campo davanti a quasi 70
mila spettatori. Dopo qualche giorno arrivò una lettera nella sede del
Toro. Era per me, scritta da un gruppo di tifose granata. Mi
sgridavano: “Paolino, accidenti, ti sei cambiato i pantaloncini troppo
in fretta, dalla Maratona avremmo voluto ammirarti meglio”. Io
calpestavo la bandiera della Juve stesa per terra, entrando in campo
prima di giocare un derby. Non posso definirmi uno normale. Facevo
cose da matti. Ero un cavallo selvaggio. Mi fumavo una Nazionale senza
filtro pochi secondi prima di giocare, nel corridoio che portava al
prato. Buttavo fuori il fumo a centrocampo. E poi cominciavo. Non ero
tanto sano. Però ero vero. Invece oggi hanno plastificato il calcio.
Tutto deve essere asettico. I giocatori crescono nel burro e troppi
sono solo presuntuosi. Ma chi sarebbero senza i tifosi? Niente,
nessuno. Valeva anche ai miei tempi, ovviamente. Ma adesso sono così
lontani dalla vita reale. Crescono come polli in batteria. Dipendono
dai procuratori. Non sanno fare nulla da soli. Io anche quando giocavo
mi mettevo in coda alla Posta per pagare un bollettino, chiacchieravo
con la gente. Diteglielo a un
Balotelli, oggi, di andare a fare la fila alle Poste... Magari il suo
capitano Zanetti lo farebbe, però: ecco, quello sì che è un giocatore
speciale».
CLAUDIA: «I tifosi ti adorano, Pupi, anche per ciò che hai fatto e non
hai fatto dopo che hai smesso di giocare».
DON ALDO: «Ehhh, quanti presidenti avrebbero voluto comprarsi Pupi per
conquistarsi un credito coi tifosi...». Ma personaggi come Pulici non
sono comprabili. Danno fastidio: dicono la verità.
CLAUDIA: «Ve lo racconto io il dialogo tra mio marito e l’attuale
presidente del Torino, quando volle incontrare Pupi, un bel po’ di
tempo fa. Alla fine lui disse a Paolo: “Pulici, in verità io non
saprei che farle fare nel Toro. Lei è difficile da gestire. Forse
potrebbe tenere i rapporti con i tifosi, chissà”. Al che Pupi gli
rispose:“Okay, ipotizziamolo. Ma se poi io garantissi per lei,
fidandomi, e riferissi ai tifosi le sue promesse, sa che succederebbe
se alla fine si rivelassero false? Semplice: che verrei qui nel suo
ufficio e l’appenderei al muro”. Io credo che a quel punto il
presidente pensò: “Mah, a questo punto è meglio lasciar perdere”.
Capito?».
PUPI: «Cambiamo discorso. In generale, nella vita, dico che se hai il
portafoglio al posto del cuore non puoi sentire, non puoi capire. Nel
particolare, un giornalista mi ha chiesto, l’altro giorno: “Lei cosa
farebbe per risolvere i problemi del Toro?”. La mia risposta:“Vivo
lontano, sarei presuntuoso se mi mettessi a dire che fare e cosa no.
Piuttosto penso questo: solo chi ha creato i problemi dovrebbe anche
sapere come risolverli, no?”. Io non voglio rinunciare al mio modo di
essere. Il Toro esiste ancora, per me, lo tocco anche con mano: ogni
volta che vado nei club dei tifosi il Toro lo rivedo eccome». Ma c’è
da chiedersi se un Pulici può ancora nascere, al giorno d’oggi:
l’uomo, prim’ancora che il campione. «Dopo aver smesso di giocare,
fare le comparsate in tv o mettermi a fare l’allenatore avrebbe
significato scendere a compromessi che non potevo, non posso
trangugiare. La mia vita, oltre alla mia famiglia, è a Trezzo coi
bambini: la scuola calcio. A loro insegno il divertimento. E a
crescere. Non m’interessa il risultato delle partitelle, ma che
imparino a stare insieme giocando, a diventare dei piccoli ometti
anche se sono dei bimbi. Se non usi la testolina, non vai da nessuna
parte».
DON ALDO: «Pupi, sono curioso di sapere cosa significa per te essere
arrivato a 60 anni».
PUPI: «Significa sapere di dover imparare ancora tante cose dalla
vita. Un tifoso mi ha fermato, due ore fa in piazza San Carlo. Mi ha
detto, tutto emozionato: “Pupi, dimmi anche una bugia se vuoi, ma
fammi credere che andiamo in A, ti prego”. I tifosi e il Toro
dovrebbero essere un corpo solo come ai miei tempi. Invece non possono
nemmeno più andare a vedere gli allenamenti... E non c’è più nemmeno
lo spirito del Filadelfia: non solo non c’è più il Filadelfia. Non
vedo più radici, la casa... Dove sono le origini del Toro?». E’ a
questo punto, in questo preciso momento, che nella sala del ristorante
Marechiaro entrano la signora Liviana col marito Giulio: «Scusate, ma
abbiamo una certa età e la ricordiamo bene quando giocava, Pulici.
L’abbiamo vista da lontano, ci tenevamo tanto a stringerle la mano.
Sa, noi siamo abruzzesi, arriviamo da Montesilvano, siamo qui a Torino
per la Sindone. Vediamo lei, adesso: ed è un grande onore. Davvero
possiamo stringerle la mano? Sa, noi l’abbiamo tanto stimata: lei non
era solo un fuoriclasse, era un avversario leale e coraggioso, un
esempio per tutti». E Pulici: «Avversario? Perché avversario? ». «Non
si arrabbi, ma la nostra famiglia è della Juve. Però Pulici è Pulici
anche per noi, per tutti».